Calcolo anatocismo bancario: cos’è e come si effettua?
Guida al calcolo dell’anatocismo bancario
Sebbene sia un termine che ricorre poco, in realtà il fenomeno dell’anatocismo è assai diffuso in ambito bancario, anche se di fatto dichiarato illegittimo dalla legge, a lungo mascherato dietro la facciata di ‘’una consuetudine diffusa’’, ma i cui confini con l’usura sono molto labili. Di cosa si tratta?
In questo articolo cercheremo di fornire una guida al calcolo anatocismo, ripercorrendo le tappe fondamentali che hanno portato la giurisprudenza alla dichiarazione di illegalità di questa pratica.
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Anatocismo bancario: che cos’è?
Quando si parla di calcolo anatocismo bancario ci si riferisce, in sintesi, al calcolo di interessi applicati ad interessi già maturati su una somma dovuta.
Più nello specifico, quando un debitore non paga interessi già maturati, la banca ‘’capitalizza’’ questi ultimi, ossia li somma all’importo dovuto (capitale) e su questa somma applica ulteriori interessi. In questo caso si parla di interesse composto.
Si tratta di una pratica molto in voga presso le banche, in base alla quale gli interessi a debito (ossia quelli generati quando si ha il ‘’conto in rosso’’) sono liquidati con cadenza trimestrale, mentre gli interessi creditori (quelli cioè spettanti al cliente sulle somme depositate) con cadenza annuale, provocando un dislivello nella maturazione degli interessi a debito. Ciò perché la banca addebita ogni tre mesi interessi sugli interessi maturati.
Di base, però, c’è da dire che nel nostro ordinamento esiste il divieto di anatocismo, sancito dall’art. 1283 del Codice Civile. Il fatto che fino a qualche anno fa se ne facesse ampiamente ricorso dovrebbe ad una certa consuetudine avallata dalla Giurisprudenza e portata avanti sino a quando non si è provveduto ad un processo di revisione interpretativa delle norme in materia di anatocismo, culminato con la sentenza della Corte di Cassazione n. 21095/2004 che ha definitivamente stabilito l’illegittimità degli addebiti bancari per anatocismo.
In realtà già qualche anno prima si era intervenuti sulla questione, inserendo all’art. 120 del Testo Unico Bancario un nuovo comma in cui venivano stabiliti criteri e modalità di produzione di interessi sugli interessi, a patto che fosse rispettata la stessa periodicità nel conteggio dei saldi attivi e passivi. Bastava, pertanto, che le banche facessero coincidere la liquidazione degli interessi attivi e passivi affinché fosse legittimo il ricorso all’anatocismo.
L’approvazione da parte del Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio (CIR) ha definitivamente fissato il momento di decorrenza dell’obbligo di riconoscere ai correntisti pari periodicità nella liquidazione degli interessi. Un passaggio importante quest’ultimo per il calcolo degli interessi anatocistici.
Dopo alterne vicende, la Corte di Cassazione è tornata sulla questione, stabilendo con decreto ministeriale n. 343/2016 che gli interessi maturati nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito non possono produrre interessi ulteriori, ad eccezione di quelli moratori.
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